Consideriamo adesso un corpo esteso, e che abbia un asse fisso, attorno a cui il corpo può ruotare. In questo caso l’applicazione di una forza comporterà una rotazione, che può essere oraria o antioraria. Si noti che l’asse fisso è un vincolo che impedisce i movimenti di traslazione. La rotazione dipenderà oltre che dal valore della forza anche da dove (punto di applicazione) e da come (direzione) la forza è applicata. Si pensi ad una porta. Per far ruotare la porta è molto più facile (dobbiamo applicare una forza minore) se la forza è applicata il più lontano dall’asse e in modo che la sua retta di azione (direzione della forza) disti il più possibile dall’asse. Se tiro la porta in modo che la retta d’azione passi per l’asse non otterrò nessuno effetto (la porta non gira). Evidentemente la rotazione dipende da una nuova grandezza che terrà conto sia dell’intensità della forza che della distanza fra la retta d’azione della forza e l’asse di rotazione. Per capire qual è questa grandezza, si prenda un’asta di materiale omogeneo, con un asse di rotazione, coincidente con il centro dell’asta. La si sospenda attorno all’asse. Essa rimarrà orizzontale. Se applichiamo un peso alla sinistra dell’asse esso provocherà una rotazione antioraria. Per annullarla dobbiamo applicare un peso eguale a destra e alla stessa distanza. Tale peso provoca una rotazione oraria, che si oppone alla precedente e siccome non ci sarà nessuna rotazione le due cause si annullano. L’equilibrio si può ottenere anche con un peso maggiore applicato più vicino all’asse di rotazione(fig 1 e 2).
Il peso da applicare sarà tanto maggiore quanto minore è la distanza dall’ asse di rotazione. Per aversi l’equilibrio dovrà in ogni caso aversi Fo*do = Fa*da, dove Fo è la forza che provoca la rotazione oraria e do è la relativa distanza dall’asse , Fa è la forza antioraria e da è la distanza di detta forza dall’asse.
Applichiamo Fo, la forza oraria con una direzione diversa, come in figura. In questo caso per aver l’equilibrio la forza oraria deve essere maggiore anche se le distanze fra l’asse e il punto di applicazione sono eguali. Se consideriamo tale distanza Fa*da< Fo*do e perciò l’asta dovrebbe ruotare in senso orario. Se invece come distanza prendiamo la distanza OH fra asse di rotazione e retta d’azione sarà Fo*OA= Fa*OH. Possiamo concludere che la causa della rotazione è il prodotto forza per distanza fra asse di rotazione e retta d’azione della forza (tale distanza è chiamata braccio della forza rispetto all’asse). F*b è una nuova grandezza che si chiama momento di una forza rispetto all’asse e la sua unità di misura nel sistema internazionale è N*m in quello pratico è kgp*m . 1 kgp*m =9,8N*m. Il momento può essere nullo o perché la forza è zero (non è applicata nessuna forza) o perché b=0. Nel caso in figura 4 b=0 M=0, perciò la forza non provoca rotazione; b=0 perché la retta d’azione passa per l’asse di rotazione. Il momento è una grandezza vettoriale la cui direzione è perpendicolare al piano di rotazione e il cui verso è quello dell’avanzamento di una vite che ruota nel senso della rotazione provocata.
ROTAZIONE E COPPIE DI FORZE
Abbiamo già detto che l’asse di rotazione è un vincolo che impedisce i moti di traslazione. Come tutti i vincoli nell’asse si crea una reazione vincolare che deve impedire il movimento di traslazione. Tale reazione vincolare sarà una forza eguale e contraria a quella applicata (fig 1). Possiamo quindi pensare che la rotazione non è dovuta ad una sola forza, ma ad una coppia di forze (due forze eguali e contrarie, non aventi la stessa retta d’azione), una è la forza applicata, un’altra è la reazione vincolare che si ha nell’asse. Se questo è vero, un corpo libero ruoterà sotto l’azione di una coppia di forze. Il momento della coppia di forza è M=F*b dove il braccio b è la distanza fra le due rette d’azione delle due forze. Il momento è una grandezza vettoriale la cui direzione è l’asse attorno cui il corpo ruota che è perpendicolare al piano di rotazione, che coincide con il piano individuato dalle due forze e il cui verso è dato dalla regola della vite. Nel caso della figura 2 la somma delle due forze (risultante) è nulla e quindi il corpo, inizialmente fermo, non trasla, ma non resta fermo in quanto subisce una rotazione sotto l’azione del momento della coppia di forze che è diverso da zero. Nel caso invece della figura 3 il corpo è in equilibrio in quanto sia la risultante che il momento sono eguali a zero. Il momento è nullo in quanto b=0, le due rette d’azione delle forze coincidono. Possiamo perciò concludere che un corpo è in equilibrio solo se contemporaneamente si ha R=0 Mt=0, dove Mt è la somma vettoriale di tutti i momenti.
LEVE
Le leve sono delle aste rigide, libere di ruotare attorno a un punto fisso, chiamato fulcro, e alle quali vanno applicate due forze, una chiamata resistente che è in genere il peso di un corpo che si vuole sollevare, e l’altra potenza, che è la forza da applicare per sollevare il peso. Queste due forze devono formare rispetto al fulcro due momenti opposti e della stessa intensità perché ci sia l’equilibrio. SE br e bp sono i bracci della forza resistente e della potenza (la distanza fra il fulcro e le due rette d’ azione), per qualsiasi tipo di leva all’equilibrio dovrà essere:
R* br =P* bp ; P=R* br / bp
Se br < bp ; br / bp <1 ; P<R la leva sarà vantaggiosa.
Se br > bp ; br / bp >1; P>R la leva sarà svantaggiosa;
Se br = bp ; br / bp =1; P=R la leva sarà indifferente.
Le leve si distinguono in tre generi a seconda della posizione del fulcro rispetto alla posizione delle due forze.
1°genere il fulcro è fra la potenza e la resistenza. Se f è più vicino alla resistenza la leva sarà vantaggiosa.
Esempi di leve di primo genere sono le forbici, il solleva pacchi, il grimaldello. La bilancia è una leva di primo genere con il fulcro centrale, giusto a metà tra le due forze. Siccome i due bracci sono eguali, l’equilibrio si avrà con pesi eguali.
2° genere il fulcro è ad una estremità e la resistenza è fra il fulcro e la potenza. In questo caso il braccio della resistenza è sempre minore del braccio della potenza e, perciò, sarà sempre P<R e i versi di P e R devono essere opposti.
Esempi di leva di secondo genere sono lo schiaccianoci, il remo di una barca e la carriola.
3° genere. Il fulcro è ad una estremità e la potenza è fra la resistenza e il fulcro.
Il braccio della P è sempre minore del braccio di R e perciò P>R. La leva è sempre svantaggiosa.
Esempi sono le pinze da fuoco, le pinze da dolci e le articolazioni del corpo.
CARRUCOLE.
La carrucola è un disco girevole intorno ad un asse fisso centrale, con una scanalatura sul bordo, nella quale passa una fune e con una staffa collegata all’asse di rotazione. Se la carrucola è sospesa tramite la staffa e le forze sono applicate all’estremità della fune si ha la carrucola fissa. Essa in effetti è una leva di primo genere il cui fulcro, punto fisso, è l’asse di rotazione. I bracci delle due forze sono il raggio della carrucola e perciò P=R. La carrucola serve per cambiare la direzione della forza.
Se la forza resistente (il peso da sollevare) è applicata alla staffa e una delle estremità della fune è tenuta fissa e all’altra estremità è applicata la potenza, la carrucola è mobile. In questo caso il fulcro (il punto fisso attorno cui ruota la carrucola) è il punto di contatto tra la parte della fune fissata e la scalmanatura della carrucola: Perciò br=r bp=d=2*r dove r è il raggio della carrucola e d il suo diametro. Di conseguenza dovendo essere R*br=P*bp ,sarà R*r=P*2r da cui P=R/2. Con la carrucola mobile per equilibrare un peso P ne applichiamo la metà, essa è quindi una leva vantaggiosa. Per comodità di applicazione la carrucola mobile è usata sempre accoppiata ad una fissa.